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Dott.ssa Corinne Copat

Psicologa Psicoterapeuta Clinica Pergine Valsugana

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famiglia

Diventare padre – L’importanza della figura paterna nello sviluppo dei bambini

12 giugno 201712 giugno 2017 ~ corinnecopat ~ Lascia un commento

Negli ultimi decenni le figure genitoriali hanno subito importanti trasformazioni nella famiglia occidentale. I vari cambiamenti socio-culturali hanno portato ad una figura paterna rinnovata, ovvero ad un padre che riesce a porsi sempre più come genitore partecipe e coinvolto nello sviluppo dei suoi figli.

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La psicoanalisi freudiana ha mostrato per prima le funzioni paterne rispetto allo sviluppo psichico dei figli, fin dalle epoche precoci della loro vita.

L’importanza del padre inizia già dalla gravidanza, quando gli uomini sono coinvolti in primo piano in questa esperienza, pur con le normali differenze individuali. Alcuni uomini desiderano da sempre diventare padri, mentre altri sono contenti che la loro compagna sia rimasta incinta, ma è solo al momento della nascita del bambino che entrano in contatto con forti sentimenti paterni.

Nello sviluppo psicologico della madre, che impegna tanto il suo corpo quanto la sua mente nell’affrontare i cambiamenti legati alla gravidanza, è importante ricordare che anche il futuro padre attraversa un processo simile di adeguamento al suo nuovo ruolo.

L’uomo non può vivere l’esperienza di sentir nascere dentro di sé un bambino, ma è importante se la compagna condivide con lui i vari momenti della gravidanza in modo che egli si senta motivato a seguire gli accertamenti medici e a prepararsi insieme a lei al parto.

In questo periodo, l’uomo può svolgere una “funzione contenitiva”, condividendo le preoccupazioni e le normali ansie legate alla gestazione della propria compagna.

Lo sviluppo psicologico del neo papà può essere inoltre sostenuto dal rapporto con il proprio padre, allo stesso modo in cui lo sviluppo emotivo della neo mamma riceve un importante sostegno dalla propria madre.

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L’importante presenza del padre prosegue anche in seguito alla nascita e nel primo anno di vita del bambino. Un partner attento e affettuoso può influenzare positivamente la relazione del bambino con la propria madre, sia mantenendo le capacità relazionali materne adeguate, sia aiutando la donna, in presenza di difficoltà o vulnerabilità individuali. Egli acquista una “funzione protettiva” per la delicata coppia madre-bambino.

L’impegno dell’uomo nella sua relazione di coppia, produce un impatto positivo sulla relazione del piccolo con la propria madre.

Bowlby, famoso psicologo e psicoanalista, affermava: “Compito primario del padre è fornire il dovuto aiuto psicologico, materiale e affettivo alla madre che si prende cura del piccolo in prima persona e che per questo non può essere stressata”.

Se la donna si sente sostenuta da un punto di vista affettivo dal compagno, si dedicherà al figlio nella consapevolezza che il suo legame di coppia non si romperà o non andrà incontro a crisi se le sue risorse affettive e cognitive saranno utilizzate per prendersi cura del bebè.

Sia a livello emotivo che mentale, il padre media la relazione intensa, emotivamente carica e talvolta faticosa tra la madre e il bambino. L’intervento del padre è essenziale per un equilibrio emotivo: per esempio, tenendo in braccio il bambino in modo confortevole ma diverso da quello materno, il padre introduce una nuova dinamica nel ritmo madre – figlio che sarà di sollievo per tutti.

E’ importante che entrambi i genitori considerino il sostegno al figlio come un lavoro condiviso: serve l’impegno di entrambi, non solo di uno, perché il bambino cresca.

L’importanza quindi del padre non deriva dal suo fare “come la mamma”, ma nel sapersi porre come fattore positivo e di sostegno verso la donna – se quest’ultima è insicura, o come colui che mantiene il senso di sé della moglie, quando questa è sicura, migliorando e rafforzando la relazione con il bambino.

Per approfondimenti:

E.Quagliata “Essere Genitori” – Casa Editrice Astrolabio – Roma, 2010

P. Ugarte “Un padre” romanzo – Editore Zero91, 2009

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Saperne di più: l’intelligenza emotiva

15 marzo 20176 aprile 2017 ~ corinnecopat ~ Lascia un commento

Cos’è l’intelligenza emotiva?

Secondo lo psicologo statunitense Daniel Goleman, che ne ha formulato il costrutto teorico nel 1995, con “intelligenza emotiva” si identifica un particolare tipo di intelligenza legato all’uso corretto delle emozioni, distinguendola dalla nota intelligenza legata al Quoziente intellettivo (QI).

In particolare, secondo Goleman l’intelligenza emotiva si compone di: competenze personali (capacità di cogliere i diversi aspetti della propria vita emozionale); e competenze sociali (la maniera in cui comprendiamo gli altri e ci rapportiamo ad essi).

L’intelligenza emotiva personale comprende la consapevolezza di sé, che porta a dare un nome e un senso alle nostre emozioni negative, aiutandoci a comprendere le circostanze e le cause che le scatenano; permettendo una comprensione delle proprie capacità e dei propri limiti.

Nelle competenze personali fa parte anche l’autocontrollo. Esso implica la capacità di dominare le proprie emozioni, senza negarle né soffocarle, ma esprimendole in forme socialmente accettabili.

L’incapacità di gestire le proprie emozioni può portare ad agire in maniera inopportuna, con episodi di aggressività nei confronti degli altri.

Essere autoconsapevoli delle emozioni è un obiettivo che un percorso psicologico/psicoterapeutico cerca di mettere in atto e rafforzare nei pazienti.

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L’intelligenza emotiva sociale permette invece di relazionarsi positivamente con gli altri e di interagire in modo costruttivo con essi.

Una delle sue componenti più importanti è l’empatia, ossia la capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti degli altri, ponendoci nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli interessi e difficoltà interiori. Non riuscire a instaurare una relazione empatica amicale – di coppia o nell’ambito lavorativo – produce un circuito di isolamento e chiusura. Possono emergere sentimenti negativi che sfociano in uno stato di malessere, insoddisfazione e sensi di colpa per non essere in grado di gestire relazioni interpersonali.

Secondo Goleman, l’intelligenza emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, indirizzato a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, in senso costruttivo.

Negli anni l’applicazione dell’intelligenza emotiva ha riguardato importanti ambiti della nostra vita, come la coppia, il lavoro, la famiglia.

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In particolare, dentro i contesti organizzativi si assiste ad un incremento di interesse verso questo argomento: in questo ambito, le emozioni possono diventare quelle competenze esclusive e distintive che vengono ritenute vantaggi competitivi sostenibili nel tempo e indispensabili per la sopravvivenza di un’impresa.

Nell’ambiente di lavoro l’armonia tra diverse capacità per stabilire rapporti costruttivi e positivi con gli altri diviene fondamentale. Tale aspetto sembra tanto funzionale alle organizzazioni per il suo ambiente interno quanto per ciò che concerne i rapporti con l’ambiente esterno.

L’Harvard Business Review ritiene l’intelligenza emotiva “la chiave del successo professionale”, per questo sono sempre più frequenti i corsi di formazione nelle aziende che, utilizzando il gruppo come strumento privilegiato, hanno come obiettivo proprio quello di sviluppare competenze “emotive” nei propri dipendenti.

Oggi più che mai, acquisire gli strumenti per sviluppare l’intelligenza emotiva, può rivelarsi la strada corretta per il raggiungimento di un benessere in vari ambiti della propria vita.

Per saperne di più, contatta lo studio.

Per approfondire:

Goleman D., “Intelligenza emotiva”, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1996

 


L’autrice: Dr.ssa Copat Corinne

La Dr.ssa Copat è Psicologa. Esercita la libera professione presso lo Studio di Psicologia di Pergine Valsugana. E’ laureata in Psicologia presso l’Università di Padova ed è specializzanda in Psicoterapia Psicodinamica.

Il viaggio dell’adolescenza – Rapporto tra genitori e figli

20 febbraio 20176 aprile 2017 ~ corinnecopat ~ Lascia un commento

IL VIAGGIO DELL’ADOLESCENZA

“Non lo riconosco più”, “Sembra un’altra!”, “Non so dove ho sbagliato”. L’adolescenza è un evento che rimette tutto in discussione: cambiamenti nel corpo, nelle relazioni e nell’ambiente.

E’ un passaggio cruciale per i figli, ma anche per i genitori: è una trasformazione che coinvolge entrambi, le loro relazioni e i legami reciproci. I nostri figli sono loro e contemporaneamente non più loro, così come noi genitori siamo noi ma contemporaneamente non più noi!

L’impegno di entrambe le generazioni è quello della separazione e del distacco in senso psicologico, un processo di crescita certamente non indolore per entrambe le parti.

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Uno dei classici “ostacoli” che si può incontrare di fronte all’adolescente è la difficoltà di non sapere se trattarlo come un bambino o come un adulto. Tale ambivalenza (atteggiamenti di passività e/o reazioni di ribellione) è una delle caratteristiche di questo periodo evolutivo: il bisogno di dipendenza e all’opposto di autonomia.

Il compito dei genitori diventa allora più complesso, nel tentativo di dare una protezione flessibile che aiuti a combinare queste diverse esigenze. Questa protezione diventa ancora più delicata alla luce del rapporto con l’ambiente sociale che la famiglia oggi si trova a svolgere: la situazione attuale è incerta e il contesto più instabile; sono mutate le funzioni delle figure genitoriali e i concetti di autonomia e libertà, le aspettative sono in genere elevate e le opportunità più ricche.

In un mondo dalle mille opzioni, il rischio è di smarrirsi in brevi realizzazioni, consumate senza un progetto.

La sfida dei genitori è cercare di creare un dialogo, uno scambio, con momenti di scontro e incontro, ma che alleni all’arte della negoziazione e che favorisca nei figli lo sviluppo della capacità di pensare.

Ogni adolescente è unico, ha manifestazioni particolari e bisogni connessi alla sua storia. Ma tutti i ragazzi hanno bisogno che il genitore sia un adulto che contiene, che dia i limiti, che tolleri i conflitti e sia capace di sopravvivere ai suoi attacchi ma che, contemporaneamente, riconosca l’altro, il figlio, come una persona diversa da lui, dotato di potenzialità, che nel corso della crescita può compiere scelte personali costruttive anche se non corrispondenti a quelle che il genitore si aspetterebbe o desidererebbe da lui. È fondamentale non minare la fiducia dei figli nelle proprie capacità e nelle risorse dell’ambiente extra familiare circostante con un atteggiamento troppo protettivo.

È inoltre importante che i genitori sappiano mantenere attenzione ed interesse per aspetti diversi della propria identità, non dimenticando di essere uomini e donne, di essere individui sociali e di essere coppia oltre che genitori!

La crisi del passaggio adolescenziale contiene il concetto di “crisi”, come caratteristica intrinseca di questa fase di vita, in cui, più che in altri momenti dello sviluppo, si manifesta il potenziale evolutivo e trasformativo della crisi. La crisi, faticosa e dolorosa per tutti può diventare il terreno per costringere tutti i membri familiari a mettersi in cammino, alla ricerca di diversi modi di essere e di affrontare i problemi, ricerca che continuerà per tutta la vita e in ogni momento di cambiamento e di passaggio.

Lo Studio di Psicologia offre il servizio FAMIGLIE e ADOLESCENTI, con percorsi psicologici e spazi d’ascolto ai giovanissimi e ai genitori, dove mettere in parola il proprio disagio, confrontandosi su dubbi, preoccupazioni e incertezze.

La metodologia di intervento prevede: colloqui di consultazione, colloqui di valutazione, sostegno alla genitorialità e interventi di trattamento della conflittualità, percorsi psicologici individuali, interventi di sostegno psicoeducativo.

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L’autrice: Dr.ssa Copat Corinne

La Dr.ssa Copat è Psicologa. Esercita la libera professione presso lo Studio di Psicologia di Pergine Valsugana. E’ laureata in Psicologia presso l’Università di Padova ed è specializzanda in Psicoterapia Psicodinamica.

Il cervello adolescente

29 agosto 20166 aprile 2017 ~ corinnecopat ~ Lascia un commento

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“L’adolescenza non è semplicemente una fase da superare: è un periodo della vita da valorizzare in modo adeguato” Daniel J. Siegel – La mente adolescente

Una serie di scoperte, più o meno recenti, hanno affrontato il periodo adolescenziale (compreso all’incirca tra i 12 e i 24 anni), sfatando alcuni miti che ormai sono entrati a far parte della nostra cultura in modo radicato.

Alcuni testi che affrontano questa tematica in maniera scientifica ma altrettanto appassionante sono scritti da Daniel J. Siegel, professore di psichiatria alla University of California di Los Angeles, autore di saggi sullo sviluppo mentale dei bambini e adolescenti.

Il primo è “Brainstorm: The Power and Purpose of the Teenage Brain” (2013), l’altro è disponibile in italiano con il titolo “La mente adolescente” (2014).

Ecco quindi alcuni contributi sui falsi miti.

  1. Uno dei falsi miti sostiene la responsabilità degli ormoni impazziti nel “mandare fuori di testa” i ragazzi, portandoli a “perdere la ragione” o comportarsi in modo “folle”. L’aumento fisiologico del livello ormonale, che determina con la pubertà importanti cambiamenti fisici, non sembra essere esclusivamente o direttamente determinante di ciò che accade in adolescenza. Al contrario, l’esperienza dell’adolescenza è principalmente il risultato di cambiamenti che avvengono proprio nello sviluppo del cervello dei giovani.
  2. Un’altra falsa credenza ritiene come l’indipendenza del teenager dalla propria famiglia debba essere conquistata attraverso un distacco da una dipendenza degli adulti verso un’autonomia totale da questi ultimi. In realtà, la vera indipendenza sembra essere data da una interdipendenza sana, non da un completo isolamento. Certamente la natura dei legami con i propri genitori cambia e ci si avvicina maggiormente al gruppo dei pari, ma non si trasforma mai in una totale autonomia. I ragazzi hanno bisogno di relazioni con l’adulto e da questi ne traggono forti benefici.
  3. L’ultimo mito riguarda il pensiero che l’adolescenza sia un momento di immaturità, a causa del quale l’unico scopo sia “fare crescere i ragazzi”, che basti “aspettare e sopravvivere”. Al contrario, Siegel sostiene come i compiti adolescenziali (tra i quali, la ricerca di novità, il coinvolgimento sociale con i coetanei, una maggiore intensità emotiva e l’esplorazione creativa, il testare i confini) possono creare le basi per lo sviluppo dei principali tratti del carattere che consentiranno agli adulti di andare incontro in maniera adattativa e positiva alla vita.Lo sviluppo cerebrale degli adolescenti, secondo l’autore, non va visto solo come un processo di maturazione, ma risulta più utile considerare questo processo come una parte vitale e necessaria della nostra vita individuale e collettiva.tumblr_mdisvyHLqt1qcvd8fo1_500

    I cambiamenti che avvengono nel cervello dell’adolescente permettono a certe nuove capacità di emergere: le vicende emozionali, le relazioni sociali, la ricerca di novità, le sperimentazioni creative vanno viste come aspetti centrali, positivi e necessari per capire chi siano gli adolescenti e chi potrebbero diventare come adulti.

    Il nostro compito di adulti e genitori è anche quello di mantenere per tutta l’età adulta quello spirito buono dell’adolescenza, conservandone la creatività, la spinta all’innovazione, la predisposizione alle relazioni sociali e al pensiero laterale. L’adolescenza non è semplicemente uno stadio da superare, ma uno stadio della vita da coltivare con molta attenzione.

Per approfondire:

Siegel, D.J. (2014) La mente adolescente. Raffaello Cortina Editore

Goisis, P. R. (2014) Costruire l’adolescenza. Tra immedesimazione e bisogni. Ed. Mimesis

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