Nascere prima…. 17 novembre – Giornata mondiale del prematuro

Nascere prematuri…. Sono circa il 7% del totale di bambini nati in Italia quelli prematuri, ovvero nati prima della 37esima settimana di gravidanza. Sono bambini fragili, bisognosi di cure, ma allo stesso tempo dei grandi guerrieri.

La nascita prematura arriva in anticipo, in maniera inattesa, spesso in condizioni di sofferenza fisica per il neonato. Questo crea una crisi a livello familiare: il neonato, che dovrebbe trovarsi nel ventre materno, si ritrova improvvisamente accudito dal personale sanitario, da medici e infermieri.

I genitori si muovono in uno spazio di incertezza, che può provocare anche forte dolore psichico.

Hanno vissuto uno shock di un parto precoce, spesso con taglio cesareo. Anche se sapevano che il bambino sarebbe nato prematuramente, la decisione sul quando e il come rappresenta sempre un momento di forte sconvolgimento.

Le madri e i padri si possono sentire così “privati” della gravidanza, con l’impressione che manchi qualcosa. La madre può sentire di aver fallito nella sua funzione di portare a termine una gravidanza, può sentirsi punita o provare vergogna di fronte alle cure prestate dai medici, che subentrano al suo ruolo di accudimento e cura del suo piccolo.

Gli eventi sono spesso fuori dal suo controllo e da quello del padre, possono esserci vissuti riguardanti l’incapacità nel loro compito primario di proteggere il bambino.

Vi può essere un’ambivalenza anche verso il personale sanitario, dal quale si dipende in quei momenti… da una parte la gratitudine verso i medici per aver salvato il bambino ma anche una rabbia per averlo sottratto alle loro cure.

I genitori sanno che i loro sentimenti sono legittimi, nonostante tutto il disagio che provano al momento.

Sembra che all’inizio i genitori possano soltanto stare a guardare: ciò che manca completamente è la privacy, quella tranquillità che caratterizza l’atmosfera tra i genitori e il figlio. Altre persone entrano infatti nella quotidianità, come medici e infermieri, che li aiutano a lavare o allattare il neonato. Spesso i momenti di relazione tra madre e figlio sono limitati a causa della mancanza di contatto o della malattia del piccolo. Ci vuole tempo per abituarsi all’aspetto del reparto, alle dimensioni fragili del neonato.

Potersi sentire madre in queste circostanze non è sempre facile e quando la donna torna a casa col neonato, subisce un altro shock, in quanto si rende effettivamente conto di aver partorito veramente suo figlio.

Spesso il ritorno a casa dall’ospedale è caratterizzato da una quota di preoccupazione, con differenze di sentimento e atteggiamento riguardo alle cure da prestare al figlio.

Nella fase post ospedale, i genitori possono provare intensi sentimenti anche di rabbia verso l’invadenza dei familiari, persino sotto forma di osservazioni banali pronunciate casualmente. La vulnerabilità in questa fase è un aspetto importante da sottolineare.

Secondo uno studio svolto su genitori di neonati prematuri (Tracey N., 2000), tra le ragioni di ripresa e miglioramento psicofisico dei genitori vi era il sostegno ricevuto durante il periodo critico e, dunque, anche degli interventi professionali competenti attraverso ad esempio un percorso di sostegno psicologico.

E’ fondamentale coinvolgere il padre nella cura e protezione della diade madre-figlio. Inoltre lo stabilirsi di un legame relazionale precoce contribuisce a creare le basi per accrescere la fiducia delle proprie capacità genitoriali.

E’ importante poter ricevere aiuto professionale per usare le prime settimane in ospedale per stabilire un legame con il bambino e trovare conferme per quando si rientrerà in casa, agevolando quella difficile transizione dal tempo della gravidanza all’incubatrice e poi finalmente…… a casa.

Le madri hanno certamente bisogno della presenza di altre madri: il sostegno materno esterno è fondamentale per aiutare a recuperare il senso di una madre interna buona, qualora questo termine si sia indebolito dopo la nascita del bambino.

Oggetto buono” indica una rappresentazione mentale interna che il bambino fa della propria madre.

La dedizione e protezione che i genitori offrono al bambino diventano parte importante del modo in cui il piccolo sente la madre (Thomson Salo, 2000). Le esperienze buone con il bambino potenziano l’autostima e la speranza materne.

Generalmente i reparti di neonatologia sono in collegamento con associazioni di genitori con i quali i genitori possono condividere la loro esperienza: trovare una rete di persone che hanno avuto la stessa esperienza e vissuti simili, aiuta molto ad affrontare il senso di inadeguatezza e di diversità che accompagna ogni nascita prematura e consente ai genitori di non sentirsi solid di fronte all’evento. Anche nel web sono presenti numerosi siti dove i genitori possono scambiare consigli e sostenersi nelle diverse fasi di crescita dei loro piccoli.
Se mamma e/o papà ne sentissero il bisogno potrebbe essere utile cercare un sostegno psicologico, per un accompagnamento all’elaborazione dell’esperienza.

Sarebbe importante, anche in questo periodo di pandemia Covid19 che stiamo vivendo, garantire la vicinanza di entrambi i genitori e neonato. Anche per i prematuri, che trascorrono dei periodi più o meno lunghi in TIN (Terapia Intensiva Neonatale). La nascita è in presenza, anche in quest’epoca così particolare e incerta.


Glossario

Ambivalenza: la presenza di sentimenti contraddittori vissuti verso persone o esperienze. L’ambivalenza può far provare sentimenti di amore e odio verso la stessa persona o può far avvertire una data esperienza, ad esempio la gravidanza, con un misto di felicità e rifiuto. Una combinazione di sentimenti contrastanti a cui non si riesce a dare sintesi.

Letture consigliate:

“Diventare genitori”, a cura di Emanuela Quagliata. Astrolabio

http://www.vivereonlus.it


L’autrice: dott.ssa Corinne Copat

La dott.ssa Copat Corinne è Psicologa e Psicoterapeuta. Esercita la libera professione presso lo Studio di Pergine Valsugana (Trento). E’ laureata in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Padova ed è specializzata in Psicoterapia Psicodinamica. I suoi interventi si rivolgono all’adolescenza ed età adulta.

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Seconda ondata…..

Questa seconda ondata del virus è diversa dalla prima.
Come scrive Recalcati, si tratta del trauma della recidiva.

Speravamo di essere guariti, abbiamo trascorso un’estate più o meno in libertà, ritenevamo che il virus avesse esaurito la sua carica di violenza e ci ritroviamo in mezzo di nuovo ad una forte epidemia.

Siamo così obbligati a fare il lutto della nostra guarigione e a ricominciare a lottare con meno forze e meno speranze.
Vi è la fatica dei mesi precedenti, che si somma al rivedere nuovamente il nostro modo di stare in relazione con gli altri a distanza.


Le emozioni di questa seconda ondata sono legati alla sofferenza, sempre più diffusa tra la popolazione, all’insofferenza e anche alla rabbia.
L’apatia e la rassegnazione ci stanno confrontando con il tema del limite e delle nostre fragilità personali.


È importante riconoscere ed accogliere questi vissuti, in quanto ci permettono poi di trovare un nostro modo per affrontare questo momento delicato, attingendo alle nostre risorse personali (anche quelle già utilizzate nella prima ondata) e alla resilienza.
A volte può essere utile riconoscere di avere bisogno di aiuto per i propri vissuti, magari chiedendolo nella cerchia delle proprie relazioni familiari o amicali o rivolgendosi ad un professionista della salute mentale, psicologo o medico.
Non ci sono risposte uguali per tutti.

Oltre alla crisi economica e alla crisi sanitaria, c’è un’altra crisi che purtroppo rimane invisibile: quella psicologica.
Come definito dall’OMS,  la salute è una componente fondamentale della nostra vita e viene definita come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”.
In questo momento sarebbe importante investire maggiormente sul benessere psicologico. In maniera diversa da prima, non chiedendo agli psicologi di fare volontariato come è già accaduto, ma investendo a lungo termine su queste figure.

Ad esempio nelle scuole, attraverso un lavoro che vada oltre la didattica, ad esempio strutturando spazi per un lavoro di riflessione e mentalizzazione con gli studenti, su quanto sta accadendo e sui propri vissuti.
Ma anche investire psicologicamente nelle cooperative, ussl, e luoghi del welfare.
Il rischio è di aumentare nella società la crescita della sofferenza psichica.

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Cosa aspettarmi da una psicoterapia?

Non conta tanto ciò che l’uomo è, ma piuttosto quello che osa fare di se stesso. Per fare il balzo, l’uomo deve fare qualcosa di più che scoprire se stesso: deve rischiare una buona quota di confusione.

George Kelly,  The Language of Hypothesis

Spesso chi vive un senso di malessere o un problema psicologico pensa che la sua condizione sia rara.

I dati dello studio ESEMed (studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali) hanno evidenziato come almeno un italiano su 5 soffra, nel corso della sua vita, di un disturbo mentale, in particolare disturbi d’ansia e affettivi (es. depressione).

Ma quali sono gli elementi principali di una psicoterapia?

Le ricerche sull’efficacia degli interventi psicologici e psicoterapici, ovvero della loro capacità di raggiungere gli effetti desiderati, è ormai consistente e documenta gli esiti in termini di miglioramento clinico (come la remissione dei sintomi), di qualità di vita e le modificazioni a livello cerebrale e somatico.

La ricerca ha mostrato non solo l’efficacia dei diversi approcci psicologici (esempio, psicodinamico o cognitivo-comportamentale) ma anche i fattori comuni che agiscono in varia misura in tutti gli approcci, come la costruzione di un’alleanza terapeutica (il coinvolgimento della persona in terapia), lo sviluppo delle capacità di auto-osservazionee auto-consapevolezza, il riconoscimento di schemi di funzionamento disfunzionale nella persona e la loro modificazione, il processo di cambiamento terapeutico (Viamontes & Beitman, 2010).

I trattamenti psicologici inoltre risultano vantaggiosi anche dal punto di vista economico, essendo in grado di produrre risparmi in campo sia sanitario che sociale anche nei casi di disturbi più complessi!

Ecco alcuni aspetti importanti nella Psicoterapia:

  1. CAMBIAMENTO: grazie alla psicoterapia, si può iniziare a pensare in maniera diversa a ciò che ci fa stare male, si possono cercare e ritrovare nuovi modi per affrontare le situazioni, comprendere meglio come ci si sente, cosa si vuole dagli altri, approfondire le ragioni del proprio e altrui comportamento. Il percorso psicologico parte dai bisogni e dalle caratteristiche della persona che si rivolge allo studio.
  2. ASCOLTO attivo e non giudicante: uno Psicoterapeuta è un professionista e non giudica. L’obiettivo è quello di capire, insieme al paziente, cosa gli sta succedendo… dare un suo giudizio non fa parte dell’etica e dei suoi obiettivi come Psicologo.
  3. PRIVACY: qualsiasi cosa il paziente racconti in Psicoterapia, è coperta dal segreto professionale e rimane confidenziale. Per approfondimenti su questa tematica, si può accedere direttamente al Codice Deontologico Nazionale degli Psicologi e consultare i numerosi articoli dedicati alla privacy.
  4. DURATA: il percorso psicologico richiede il “tempo necessario individuale” per poter migliorare le proprie condizioni psicologiche, utilizzare le proprie capacità e risorse, incrementare la qualità di vita e gestire le proprie situazioni più o meno complesse. E’ vero che la psicoterapia non ha una durata definita a priori, ma allo stesso tempo non è illimitata. Le terapie che durano una vita intera esistono solo nei film di Woody Allen!

Se desideri approfondire gli aspetti legati ad un percorso di psicoterapia, avere informazioni sulla metodologia e l’approccio seguito dallo Studio di Psicologia e Psicoterapia della dott.ssa Copat, con sede a Pergine Valsugana, invia un messaggio e verrai ricontattato.

Un albo illustrato per tutti

Gli albi illustrati, o picture book secondo la dicitura anglosassone, rappresentano una preziosa risorsa utilizzata nel campo educativo rivolta ai bambini.

Negli ultimi anni, la produzione editoriale di albi illustrati (italiani ma anche stranieri) si è ampliata con nuove e originali proposte che sembrano incontrare l’interesse di lettori “più grandi”, arrivando a conquistare la fascia adolescenziale e dei giovani adulti.

Gli studi più recenti, in ambito italiano e internazionale, indicano come l’albo illustrato sia una creazione artistica complessa, dove avviene un intenso rapporto tra immagini e parole e dove si intrecciano la scrittura e l’illustrazione, per offrire nuove visioni del mondo e ricchi immaginari.

Le parole e le figure permettono di costruire cornici di senso su temi, oggetti e narrazioni che riguardano il significato delle cose: gli albi dedicati all’infanzia descrivono spesso il mondo interno del bambino. Affrontano con coraggio le sue ansie, le ossessioni ma anche le sue gioie, come anche i problemi interni della società.

Il/la bambino/a, come anche la/il ragazza/o o giovane adulto che osserva il libro, è stimolato a ricercare dettagli non visibili, collegare frasi, parole, favorendo l’interpretazione e ponendosi delle domande. Quando questo avviene, soprattutto con i più piccoli, si crea una relazione tra chi ascolta e chi narra; come dice Dallari Marco, l’adulto che racconta o legge un libro crea un mondo fortemente connotato da un punto di vista emozionale che solo coloro che partecipano alla relazione narrativa condividono.

Lo psicologo statunitense Jerome Bruner (1997) afferma che quanto accade nella propria vita viene sempre espresso in forma di racconto, per cui la nostra vita e la nostra stessa identità prendono forma e consistenza all’interno di una struttura narrativa.

Le storie, grazie alla loro forma composta da un inizio, una parte centrale e una fine, aiutano a unire i frammenti della nostra esperienza, un aggancio per aprire un dialogo, facilitando la comprensione di ciò che si prova e di cosa prova l’altro. Per questo è importante che i bambini siano abituati, fin da piccolissimi, all’ascolto e alla lettura delle storie.

L’albo illustrato può essere inoltre un ottimo strumento di mediazione didattica per affrontare in classe tematiche delicate come può essere la disabilità o il lutto.

I libri illustrati rappresentano dei mediatori efficaci al fine di comunicare sia i messaggi culturali sia i valori della società e come strumenti per veicolare la comprensione del mondo e affrontare difficoltà quotidiane che potrebbero caratterizzare la realtà in cui vive ogni bambino.

Anche nel percorso psicologico, l’utilizzo di uno strumento per affrontare alcuni aspetti del proprio vissuto può diventare un’occasione di riflettere su se stessi, sulle proprie emozioni e sul modo di affrontarle e gestirle, all’interno di una relazione che è quella con il terapeuta. Questa possibilità può essere utilizzata con persone di ogni età.

Presento alcuni albi illustrati, particolarmente evocativi, che ritengo possano essere preziosi per mettere in parola dolori, vissuti, emozioni, esperienze, rendendoli comunicabili.

A volte i libri illustrati possono offrire molti spunti per sentire le emozioni ancora prima di conoscerle. Tra questi ci sono “Emozionario” (Cristiana Nunez Pereira, Edizioni Nord Sud) e “L’onda” (Suzy Lee, Ed. Corraini).

Il primo libro può rappresentare uno strumento per introdurre i bambini, ma anche gli adolescenti, al complesso mondo delle emozioni. La spiegazione a fianco di ciascuna emozione, accompagnata dalle splendide illustrazioni, permettono di scoprire, identificare e anche differenziare le emozioni, stimolando l’intelligenza emotiva fin dalla tenera età.

“Emozionario”

Le emozioni sono presentate secondo un ordine logico (es. tra la timidezza e la paura, troviamo la confusione), ma la lettura si presta anche ad ordine casuale. Può essere utilizzato come spunto per raccontare l’esistenza di più sfumature o sfaccettature emotive.

L’onda” è un silent book senza parole, dell’illustratrice coreana Suzy Lee. E’ la storia di una bambina che forse vede per la prima volta l’oceano. Tutto l’albo è impostato sul ritmo di un’onda e l’atteggiamento della protagonista segue il flusso del mare, attraverso varie emozioni e stati d’animo contrastanti. La particolarità di un albo senza parole permette alla persona di colmare questa assenza con le proprie impressioni, pensieri ed emozioni.

Ci sono anche albi illustrati che permettono di affrontare tematiche complesse, come ad esempio l’attraversamento di un lutto. Uno di questi è “Il buco” (A. LLenas, Gribaudo – IF, 2016). E’ una storia dolce e triste, che parla di una bambina che perde tutto e si ritrova con un buco dentro di sé.

Tutti quanti abbiamo un buco dentro di noi. Un vuoto che cerchiamo di riempire con qualcosa, con soddisfazioni talvolta momentanee o fugaci, o con persone alle quali affidiamo la responsabilità di colmare le mancanze. E’ una storia che parla di perdita, di tristezza ma anche di consapevolezza e capacità di far fronte alle avversità. Si scopre quanto quel buco, quel vuoto, è un viaggio che solo noi possiamo compiere. Non si riempie, ma si attraversa…. e dal quale entrerà piano piano la luce.

E’ una lettura indicata ai bambini, ma trovo sia adatta anche ad adolescenti e adulti che stanno affrontando una difficoltà o una perdita significativa.

Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola” Cesare Pavese

Particolare del libro “Il buco”

L’ultimo albo che vorrei introdurre è “L’albero rosso” di Shaun Tan (Ed. Tunué). Offre spunti narrativi per parlare di alcuni stati affettivi, come la paura o la tristezza, che a volte vengono evitati o negati perché fastidiosi per Sé e per gli altri. Testo e illustrazioni narrano tematiche vicine a ciascuno: il coraggio nell’affrontare la vita, la possibilità di sentirsi compresi, le paure che cercano di bloccarci, l’esistenza di qualcosa che dona forza e speranza.

In particolare le pagine dedicate all’incertezza del futuro e le paure e la fatica che ci aspettano, sembrano rappresentare la condizione emotiva che ha caratterizzato molti preadolescenti, adolescenti e giovani adulti durante il periodo del lockdown nella pandemia di COVID-19.

La copertina

Esistono moltissime pubblicazioni che offrono spunti e modi per lavorare sulla conoscenza, il riconoscimento e la capacità di lavorare sulle emozioni.

Questi albi proposti sono solo alcuni spunti per gli adulti che vogliono proporli a bambini o ragazzi o direttamente per se stessi.

Nella proposta ai più piccoli, è importante procedere secondo l’età di sviluppo e i tempi fisiologici che ogni bambino possiede per apprendere qualcosa di nuovo, rispettando i livelli di apprendimento che portano dalla conoscenza generica, al riconoscimento delle emozioni, sino alla capacità di nominarle. E’ importante trovare anche il momento giusto per proporlo al bambino: un tempo che non sempre è il “nostro tempo” di adulti.

Buona lettura a tutti.

Bibliografia:

Bruner, J. (1997). La cultura dell’educazione. Milano: Feltrinelli

Dallari, M. (2011). Quando le parole si stringono alle immagini. Scritture polialfabetiche e nuove prospettive di apprendimento e di interpretazione. Encyclopaideia. Rivista di Fenomenologia, Pedagogia, Formazione.


L’autrice: Dott.ssa Corinne Copat

La dott.ssa Copat Corinne è Psicologa e Psicoterapeuta. Esercita la libera professione presso lo Studio di Pergine Valsugana (Trento). E’ laureata in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Padova ed è specializzata in Psicoterapia Psicodinamica. I suoi interventi si rivolgono all’adolescenza ed età adulta.

L’attacco di panico

Presso lo Studio di Psicologia e Psicoterapia di Pergine Valsugana (Trento) la dr.ssa Copat affronta i sintomi e la cura dei Disturbi d’Ansia e Disturbo di Panico.

Lo sapevi?

La parola “panico” deve la sua origine alla divinità greca Pan, protettore dei pastori e dio dei boschi e dei corsi d’acqua. Se veniva disturbato durante il sonno in una zona riparata del bosco o in una caverna nei pressi di una strada, questa divinità apparentemente benigna si diceva emettesse un urlo così forte e acuto che molti passanti venivano spaventati a morte.

Cos’è esattamente un attacco di panico?

E’ una reazione d’ansia imprevedibile e inaspettata, senza che sia presente uno stimolo o un evento stressante. Nell’attacco di panico è il corpo a parlare della propria agonia: le persone che lo provano solitamente riferiscono sintomi fisici, che somigliano ad una crisi cardiaca (tachicardia, tremori, dolori al petto, sensazione di asfissia, sensazione di vertigine …..).

Per questo motivo, molti pazienti cercano un primo aiuto rivolgendosi al Pronto Soccorso. L’attacco solitamente dura dai 5 ai 20 minuti, è caratterizzato da sintomi fisici e psichici (tra i quali la sensazione di perdere il controllo o di “impazzire”, paura di morire).

La diagnosi di disturbo di panico viene posta quando gli attacchi si presentano con una certa ricorrenza. Di solito sono presenti un’ansia anticipatoria (paura di avere un altro attacco di panico) ed evitamento di situazioni nelle quali sarebbe difficile chiedere aiuto nel caso si provasse nuovamente il panico. L’età di esordio è in genere in età giovane adulta (picco intorno ai 22- 24 anni) ed è più frequente nelle donne rispetto agli uomini (rapporto 2:1).

Proviamo a capirne di più…..

Il disturbo di panico sembra difficile da capire e può sembrare senza contenuti psicologici. Anche la sua comparsa è improvvisa, arrivata ” dal nulla” senza motivazioni evidenti e questo suscita nelle persone una notevole angoscia.

L’approfondimento delle circostanze nelle quali si verifica il panico e la storia del paziente spesso fanno emergere dei fattori psicologici rilevanti. La paura che si prova nell’attacco di panico è un’emozione e come tutte le emozioni è sensata, per il soggetto che la prova. Spesso nell’attacco di panico però è presente una difficoltà nel regolare le proprie emozioni: ogni individuo non soltanto prova delle emozioni, ma deve essere anche in grado di gestirle e controllarle. Diventa importante il riconoscere il senso che ha quell’emozione per la persona, nella sua esperienza e nel momento in cui la prova, che sia un adulto, un adolescente o un bambino.

L’emozione della paura è normale e protettiva in alcuni momenti. Ci può far stare al sicuro, ci avvisa di una situazione di pericolo e ci mantiene in allerta. Questo è fisiologico se rimane entro un livello di tollerabilità. Se non si riesce a contenerla e la paura diventa eccessiva in assenza di segnali o pericoli evidenti, è importante poter chiedere un aiuto.

Il ruolo del cambiamento

L’esordio del Disturbo di panico coincide con una certa frequenza con un cambiamento significativo all’interno della propria vita.

Gli attacchi di panico possono comparire nel corso di una crisi di identità, nei momenti di trasformazione e di passaggio (come l’entrata nella dimensione adulta o la crisi di mezza età) o come reazioni psicosomatiche alle separazioni. Per questo motivo gli attacchi di panico sono particolarmente frequenti nelle crisi di mezza età: il mito della bellezza ed efficienza non riesce a sostenere il limite della propria esistenza. Nelle separazioni invece, in cui si sperimenta l’abbandono dal partner, si vive un crollo di sé e delle proprie sicurezze. Gli attacchi possono creare un forte disorientamento e la persona è disposta a tutto per di evitare di riprovarli. L’evitamento di alcune situazione che potrebbero “innescarli” può diventare così massiccio da togliere ogni novità e ogni occasione di vita.

L’esordio del panico, come scritto sopra, avviene solitamente nei giovani adulti (20/24 anni) e spesso coincide con il distacco dalla propria famiglia d’origine e dall’acquisizione di una maggiore autonomia e indipendenza. L’ambiente esterno viene quindi a costituirsi come un luogo dove trovare altri punti di riferimento e nuove appartenenze affettive e sociali. Questa situazione può far sentire più vulnerabili ed insicuri.

L’attacco di panico, le cui basi biologiche sono oggi ampiamente documentate, può quindi essere l’espressione di una tensione tra il bisogno di autonomia e la paura di non farcela, da una parte, e, dall’altra, una dipendenza dalle figure di riferimento.

La persona che soffre di attacchi di panico è sospesa fra appartenenze passate, che non la sostengono più, e appartenenze future che non la sostengono ancora. L’individuo si sente smarrito nel vivere una perdita di autonomia in una fase del ciclo di vita in cui sta cercando di conquistarsi un’indipendenza maggiore. Quest’esperienza può essere frustrante, sia per il paziente che per le persone vicine a lui.

Si ha quindi bisogno di un sostegno dei legami affettivi che di quelli sociali per affrontare alcune situazioni di vita e passaggi evolutivi.

Come si cura?

Il lavoro psicologico sull’attacco di panico permette al paziente di lavorare sulle sensazioni ed emozioni che lo accompagnano, condividendo quest’esperienza con il terapeuta. Il sostegno psicologico e psicoterapeutico possono curare i disturbi d’ansia, il panico e il senso di solitudine, favorendo nel paziente il recupero della sua esperienza, del suo senso di angoscia e liberare nuovi spazi ed energie per lo sviluppo del processo analitico.

Anche se il timore avrà sempre più argomenti,

tu scegli la speranza.

(Seneca)


L’autrice: dott.ssa Corinne Copat

La dott.ssa Copat Corinne è Psicologa e Psicoterapeuta. Esercita la libera professione presso lo Studio di Pergine Valsugana (Trento). E’ laureata in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Padova ed è specializzata in Psicoterapia Psicodinamica. I suoi interventi si rivolgono all’adolescenza ed età adulta.

Le parole per dirlo

“Le parole per dirlo” di Marie Cardinal

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Il libro con il quale vorrei iniziare questa pagina dedicata ai consigli di lettura è un romanzo a me caro, di una scrittrice francese – “Les mots pour le dire” – Le parole per dirlo – pubblicato nel 1975 in Francia e tradotto in Italia per Bompiani.

L’autrice – Marie Cardinal – è stata insegnante di filosofia, giornalista e scrittrice di numerosi romanzi. Nata ad Algeri nel 1929, nelle sue opere si ritrova una volontà di parlare di donne, di storie quotidiane, di vissuti ed emozioni senza tempo.

E’ certamente un libro autobiografico che ha segnato un’epoca e dato slancio alle rivendicazioni dei movimenti femministi. Marie Cardinal affronta numerosi aspetti della vita femminile, attraverso il racconto di una “liberazione”: la riscoperta di un’altra vita, più autentica, attraverso un graduale recupero di sé. Nel libro si mostra la riconoscenza della scrittrice verso la psicoanalisi, percorso durato ben 7 anni: la salvezza inizia in un vicolo nel cuore di Parigi, dove si trova lo studio del terapeuta. Un’analisi dolorosa, ma che l’ha aiutata a guarire e liberarsi dal suo malessere psicologico, che lei chiama “la cosa“.

La copertina del romanzo di Marie Cardinal

La sua malattia le procura tremori, ansia, dolori invalidanti. Marie soffre nel corpo, manifestando sintomi che la costringono a vivere isolata dal mondo e senza trovare aiuto da parte della famiglia. Il romanzo è una “scrittura del corpo“, che parla attraverso i sintomi.

In Psicologia questo disturbo si può definire “somatizzazione“, dove il corpo diventa luogo di espressione fisica di uno stato interno emozionale.

Talvolta il sintomo psicosomatico può essere rappresentato da disturbi gastrici e cardiaci, mal di testa, disturbi del sonno.

La terapia psicologica le permette di uscire e liberarsi dalla “cosa”, dalla sua incapacità di vivere e le permette piano piano di riprendersi la sua vita.

“Per la prima volta da tanto tempo qualcuno mi parlava come se fossi una persona normale. E, per la prima volta da tanto tempo, mi comportavo come una persona capace di assumersi le proprie responsabilità”.

La psicoanalista Wilma Bucci ritiene che nella malattia somatica vi sia una dissociazione tra i pattern sensoriali (ciò che proviamo, le emozioni) e le parole (le rappresentazioni simboliche). Nel libro si osserva un blocco di Marie nella capacità di connessione tra schemi emotivi verbali e non verbali: Marie non ha “simboli verbali” per rappresentare ciò che prova e quindi utilizza il suo corpo.

La terapia le permette di esprimere i sentimenti di dolore “bloccati” e attraverso le parole “la cosa” si scioglie, diventa più visibile ma anche più controllata e piano piano sparisce. Marie impara a trasformare le esperienze in parole poiché diventa consapevole di quanto accade.

Esisto da sette anni: sono nata con la psicoanalisi

Le sue parole sono dure, intense graffianti….. ci portano in un mondo fragile, intimo e talvolta rabbioso. Ed è proprio attraverso la scrittura che Marie ritrova la sua strada.

Per qualsiasi informazione o approfondimento legati al tema trattato, si può fare riferimento allo Studio di Psicologia e Psicoterapia di Pergine Valsugana attraverso i seguenti contatti:

⇒ 347. 3479888

corinne.copat@gmail.com

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L’autrice: Dr.ssa Copat Corinne

La Dr.ssa Copat è Psicologa e Psicoterapeuta. Esercita la libera professione presso lo Studio di Psicologia di Pergine Valsugana. E’ laureata in Psicologia Clinica presso l’Università di Padova ed è specializzata in Psicoterapia Psicodinamica.

Aggiornamenti CoV-2 (CoronaVirus)

In questi giorni “sospesi” in seguito all’emergenza CoronaVirus, caratterizzati da isolamento forzato e senso di incertezza, lo Studio di Psicologia e Psicoterapia di Pergine Valsugana (TN) offre la possibilità di svolgere colloqui di consulenza psicologica telefonica o in videochiamata, per superare questa fase difficile che si sta vivendo.

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Si rendono quindi disponibili i seguenti contatti:

⇒ 347. 3479888

⇒ 349. 0638546

Consulenza On Line (Skype, Messenger, Whatsapp) o telefono

 

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